I Processi di Inganno in sintesi

I Processi di Inganno in sintesi

Pubblichiamo questo interessante articolo di Marco Pierfranceschi, perché con chiarezza da una spiegazione al perché tante persone continuano a far finta di niente e continuano a vivere come se niente della realtà li riguardasse.
Articolo originale pubblicato sul suo blog

La lunga analisi sviluppata sui Processi di Inganno [1] ha radicalmente cambiato le mie prospettive, purtroppo in peggio. Le conclusioni cui sono giunto appaiono sconfortanti. La maggior parte degli esseri umani non sarebbe in grado di maneggiare la Realtà nella sua complessità, risultando permeabile a convinzioni irrazionali e prive di fondamento. Quanto agli altri, quelli che pure sarebbero in grado di maneggiare un pensiero razionale e strutturato, possono essere facilmente manipolati, distratti, confusi, attraverso meccanismi ben codificati descritti dalla psicologia delle masse [2].

Da almeno un secolo e mezzo i metodi di fabbricazione del consenso sono l’architettura portante dell’organizzazione sociale. I mezzi di comunicazione di massa, dall’informazione all’intrattenimento, ne sono gli strumenti operativi. L’obiettivo di questa manipolazione su larga scala è garantire la stabilità dell’ordine sociale ed alimentare meccanismi di produzione/consumo funzionali al sistema economico corrente. In conseguenza di ciò, siamo una specie collettivamente priva di una reale consapevolezza dell’esistente.

Contrariamente a quanto avviene in natura, dove i processi biologici svolgono una funzione conservativa, tendendo a preservare condizioni favorevoli al fiorire della vita (disponibilità di acqua dolce, vegetazione abbondante, equilibri chimici degli oceani e dell’atmosfera), le attività umane tendono al saccheggio e alla distruzione dell’esistente, riducono la copertura vegetale per far spazio a monocolture ed allevamenti intensivi, massimizzano lo spreco e la dispersione di acqua dolce, distruggono foreste primarie e biodiversità e disperdono nell’ambiente, in enormi quantità, sostanze tossiche e velenose, incompatibili coi processi biologici.

Questo comportamento, guidato dalla considerazione che i vantaggi sul breve termine sono evidenti mentre gli svantaggi sul lungo termine possono essere a lungo ignorati, trae la sua origine dai conflitti tribali tra le primitive comunità umane. Le collettività caratterizzate dai comportamenti più impattanti ed aggressivi hanno sistematicamente prevalso su quelle più tranquille e pacifiche, assoggettandole ed includendole nella propria visione globale. Le comunità di agricoltori stanziali sono cresciute numericamente più in fretta di quelle dei cacciatori/raccoglitori e dei pastori nomadi, finendo col governare ampie porzioni di territorio e con l’imporre alle altre la propria cultura.

Questo processo si è sviluppato in tempi diversi in differenti aree del pianeta, a partire dal delta del Nilo, dal Medio Oriente, dalla valle dell’Indo e dai delta fluviali della Cina. Ognuna di queste civiltà si è espansa fino ai confini consentiti dalle risorse disponibili, ha sviluppato nuove tecnologie, nuove forme di manipolazione ambientale e sociale, nuove ideologie. Un tratto comune a tutte è la consapevolezza del potere generato dalla conoscenza, che nei secoli ha guidato lo sviluppo del pensiero scientifico.

Da questo asservimento del sapere a logiche di dominio si sviluppa la storia dell’umanità, una storia fatta di guerre, massacri, sottomissioni, ascesa e caduta di imperi, innovazioni tecnologiche, idrauliche, commerciali, militari. Una storia in cui le collettività più forti hanno sempre operato a sottomettere quelle più deboli, asservendole e sfruttandole, anche all’interno della stessa struttura sociale. Le società moderne non rappresentano il superamento di questa storia plurimillenaria, ma solo la sua riorganizzazione sulla base di nuove disponibilità tecnologiche.

Gli imperi dell’antichità hanno solo cambiato pelle, trasformandosi da realtà politiche in imprese economiche. Il controllo dell’economia consente una maggior fluidità e reattività rispetto al potere politico, dal momento che la fiducia nel denaro è un elemento totalmente trasversale alle correnti di pensiero. Nelle società moderne la disponibilità di risorse economiche garantisce il controllo degli strumenti di fabbricazione del consenso [3], consente di pilotare decisioni politiche ed orientamenti collettivi, dimostrandosi lo strumento principe per imporre la propria volontà alle popolazioni.

Un tale processo ottiene di auto-alimentarsi sulla base dei propri stessi meccanismi, in maniera del tutto indipendente da quanto irrazionali possano essere le scelte scientemente pilotate e gli stili di vita assunti dalla popolazione. L’unico criterio selettivo è rappresentato dal successo economico del soggetto che provi ad imporre alla collettività determinate convinzioni, perché un tale successo alimenterà la narrazione dominante che, proprio grazie ai profitti, verrà da esso imposta alla collettività. Una narrazione che sarà attentamente confezionata per esaltare i portati positivi ed ignorare, occultare o negare i danni prodotti.

Il meccanismo sovra descritto è sufficiente a produrre tutte le forme di auto-inganno collettive apparse in ogni civiltà storicamente documentata. Gli scivolamenti collettivi nell’irrazionalità sono tipicamente indotti da precise dinamiche di potere, essendo promossi da individui e gruppi d’interesse che, in tali derive, intravedono l’opportunità di trarre vantaggi. Una volta in possesso di questa chiave interpretativa risulta facile applicarla ad un ampio ventaglio di situazioni ed eventi.

La diffusione delle fedi religiose, per dire, può essere fatte risalire al potere da esse conferito ad una specifica casta sacerdotale. Le convinzioni politiche sono intrinsecamente legate al potere ed al controllo sociale che ne vengono generati per i rispettivi ideologi. Le mode più stravaganti discendono dalla capacità di creare o consolidare consensi per specifiche ideologie, e di conseguenza stabilizzare determinate forme di controllo e potere.

È difficile trarre conclusioni utili da questa presa di coscienza. Riemerge un concetto già in passato sviluppato sul pensiero scientifico, ovvero che il sapere in sé non è in grado di fornire indicazioni sulle azioni da intraprendere, in assenza di un quadro ideologico nel quale inserirlo. Un quadro ideologico che non possiedo più, perché mi è ormai evidente come il fattore destabilizzante degli equilibri naturali sia specificamente la capacità umana di prendere decisioni.

Finché eravamo creature inconsapevoli, come narrato perfino nella Genesi biblica [4], incapaci di distinguere il bene dal male, vivevamo assieme agli altri esseri viventi nella semplicità dei processi di selezione naturale. Nel momento in cui i nostri cervelli sono diventati abbastanza complessi da sviluppare una capacità previsionale e l’abilità di intuire le conseguenze delle nostre azioni, abbiamo potuto classificare tali azioni in ‘giuste’ e ‘sbagliate’, generando le definizioni di ‘bene’ e ‘male’.

A quel punto è stato istintivo classificare come ‘bene’ le azioni in grado di soddisfare le nostre aspettative individuali, e come ‘male’ tutto quello che ad esse si opponeva. In quel momento abbiamo deciso, come specie, che le forzanti naturali che ci mantenevano in equilibrio con l’ecosistema fossero un ‘male’, ed abbiamo iniziato a contrastarle, con l’edificazione delle civiltà.

Non ci piaceva vivere in balia dei predatori, ed abbiamo inventato le case. Non ci piaceva soffrire la fame, ed abbiamo inventato modalità di produzione del cibo. Non ci piaceva annoiarci, ed abbiamo inventato le forme d’arte. Non ci piaceva faticare, ed abbiamo inventato le macchine. Ad ogni passaggio una parte del mondo naturale è andata perduta, ed una parte equivalente di mondo artificiale, morto e sterile, ne ha preso il posto. E in tutto questo indaffararsi a smantellare la Natura siamo progressivamente aumentati di numero, impartendo al processo una ulteriore accelerazione.

Le conseguenze di questa sistematica demolizione degli equilibri naturali sono potenzialmente catastrofiche per la sopravvivenza stessa della nostra specie, e tuttavia non riusciamo a farci una ragione della necessità di invertire la nostra collettiva attitudine alla distruzione. Abbiamo anzi definito questa distruzione ‘progresso’ [5], e continuiamo a raccontarcela come la prospettiva massimamente desiderabile, per quanto fondata su basi totalmente irrazionali.

Dovremo attendere che le conseguenze del nostro agire dissennato siano ancora più evidenti e catastrofiche perché, collettivamente, si possa provare a ripensare il nostro approccio alla realtà. E, anche a quel punto, non è affatto detto che ne saremo capaci. Piuttosto, tutto lascia supporre il contrario.

[1] – Sui Processi di Inganno

[2] – Psicologia delle Masse (Wikipedia)

[3] – Pubbliche Relazioni (Wikipedia)

[4] – Il Trionfo della Morte (4)

[5] – L’invenzione del Progresso (J. Simonetta)

Redazione

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